Thanatos | Iacopo Castellani | a cura di Alberto Desirò | ore 15,00 - 20,00 | via Quattrini, 33, 50019 Sesto Fiorentino (Fi)
Thanatos
Thanatos è un lavoro sulle stanze interne.
Un confronto che è diventato necessario quando ho deciso di esplorarle. Ho visto queste stanze abbandonate, chiuse, lasciate a sé stesse, nella speranza di poterle dimenticare con l'impossibilità di poterle distruggere.
Nelle stanze di Thanatos, non si vorrebbe mai entrare.
Quasi sempre è presente un punto di fuga prospettico, che è diventato la mia via di fuga, l'uscita forse. Me ne sono reso conto solo dopo.
Thanatos è una richiesta d'aiuto che è stata ascoltata. Finisce con l'inizio di una storia.
Thanatos prende spunto da immagini fatte durante visite in luoghi abbandonati, poi trasposte e fatte diventare luoghi dell'inconscio, stanze interne appunto. Luoghi che diventano la casa di Thanatos, l'impulso di distruzione e morte in psicoanalisi, contrapposto ad Eros, la pulsione di vita, che è presente in ognuno di noi.
Ho usato delle macchine fotografiche digitali compatte ed economiche, con poche elaborazioni di post produzione su colori, luci e prospettiva. Ho stampato su pvc e montato tutto su legno. Sono convinto che un'alta qualità nella realizzazione delle immagini e della stampa non avrebbe aggiunto niente al messaggio; in questo periodo mi piace avere un approccio “punk” ai miei lavori.
Ho avvolto tutto con del fil di ferro. Lo considero anche un modo per riportare all'astrazione un lavoro che ha avuto bisogno di immagini reali.
(Iacopo Castellani)
Sabato 28 gennaio 2017 dalle ore 15:00 alle ore 20:00
OfficinaBizzarria
via Quattrini, 33, 50019 Sesto Fiorentino
Info: 340 6066374
Thanatos di Iacopo Castellani
E’ interessante leggere ciò che l’artista scrive nella sua nota, i sentimenti e la nascita di quest’opera, ma quello che lui “prova” riguardo a questo lavoro è certamente diverso da quello che prova chi ne è solo spettatore: lui era dentro quelle stanze quando ha scattato le foto, noi le guardiamo da fuori.
Lui le ha esplorate, noi le visitiamo.
Le sue stesse parole ci rendono consapevoli che ogni immagine di questo lavoro ha una “via di fuga”, nella maggior parte dei casi ben riconoscibile, in altri solo immaginaria, ma così intensa da diventare simbolo.
La libertà immaginata da chi libero non sarà mai più, che si imprime come macchia bianca sulla parete dove il tempo non è passato, o come impronta di una mano che sembra voler saggiare la
consistenza della materia per poterla attraversare. Infine, lo specchio, una possibile doppia via di fuga, in quanto varco aperto verso un mondo alternativo ma anche superficie riflettente
l’immagine di noi stessi; questo specchio però “guarda” altrove e la sua superficie, ormai opaca, non indica alcuna salvezza.
Queste stanze, che evocano il consumarsi inesorabile di atroci attese e dove ancora si sente l’odore acre della malattia, della colpa, della condanna, sono state trasformate dall’artista in un
percorso sicuro, con la creazione, tra la nostra realtà e ciò che vediamo, di un confine ben visibile, una provvidenziale separazione tra “noi” e “gli altri”, i “sani” e i “malati”, i “giusti” e
i “colpevoli”.
Ci lasciamo guidare in questo percorso, senza toccare, senza alterare un mondo che istintivamente disconosciamo, per il timore di essere contagiati da un male fisico o spirituale che ancora aleggia irrequieto e affamato nelle ombre del degrado.
Avanziamo, e intanto dentro di noi si fa strada il timore che ciò che sembra proteggerci in realtà ci stia imprigionando, sentiamo quei fili metallici avvolgerci completamente, come nelle maglie
di una gabbia, passo dopo passo, immagine dopo immagine, lasciandoci di fronte all’inevitabile alternativa di sedersi, rassegnati per sempre a guardare un quadro inesistente, oppure affrontare
quello che c’è oltre; oltre le porte, oltre lo specchio, nella nostra imperfetta umanità.
(AD gallery)
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